Il fardello del non essere

Solo una società fondata su una vera uguaglianza può garantire la coesione sociale necessaria ad affrontare le difficili prove del nostro tempo.

La crisi del concetto di uguaglianza in una società, la nostra, dominata da differenze sociali sempre più marcate, fa si che i movimenti siano solo la punta dell´iceberg di un protesta sociale diffusa che denuncia la deriva intollerabile delle disuguaglianze. Una deriva che, oltre ad essere un disastro morale, favorisce la decostruzione sociale che non si traduce quasi mai in scelte concrete di riforma.
Anzi, mentre ci si sdegna, le fratture sociali aumentano, la coscienza politica cresce e la coesione sociale arretra.

Quello che accade è un segno dello scollamento tra la democrazia come regime politico e la democrazia come forma sociale. Sul piano politico le democrazie sono oggi globalmente più forti e critiche di trent’anni fa perché possono contare su “contropoteri” più organizzati e una maggiore “informazione”.

Ma la democrazia come legame sociale fondato sull’uguaglianza è pericolosamente declinata, svenduta alle logiche di mercato.
Certamente nelle rivoluzioni del passato, più che il regime politico contava l´idea di una società senza privilegi e differenze sociali, per questo la parola “uguaglianza” era tanto importante, mentre oggi, essa arretra dappertutto.

La società ha abbandonato il modello redistributivo che per quasi tutto il secolo scorso ha progressivamente attenuato le disuguaglianze sociali. La scelta della redistribuzione era legata al ricordo delle grandi prove vissute collettivamente, soprattutto le due guerre mondiali, e alla paura del comunismo che ha spinto anche i regimi più conservatori verso le riforme sociali.

Oggi il vissuto collettivo e il riformismo della paura non agiscono più, contribuendo così a rendere molto più fragile la spinta alla solidarietà, esaltando l’egoismo e l’opportunismo, per altro favoriti dall’avvento del nuovo capitalismo d´innovazione che premia produttività e creatività totalmente individuali.

Dagli anni ottanta in poi la meritocrazia e l´uguaglianza di opportunità sono diventate sempre più importanti, sostenute da una trasformazione quasi antropologica dell´individualismo.

Agli albori della democrazia, l’individualismo era universalizzante. Essere un individuo significava innanzitutto essere come gli altri, con gli stessi diritti e la stessa libertà. Da qui l’idea di una società d´individui simili e uguali. Oggi invece prevale la domanda di singolarità, l’individualismo che ci distingue dagli altri, il bisogno di sentirsi unici che trova un terreno fertile nella società dei consumi.

La vera singolarità è costruire la propria vita come individui autonomi, esistere come persone. Il sistema, invece, ha risposto al bisogno di singolarità sacralizzando il consumatore e indicando come ideale della società quello della concorrenza generalizzata.

Dall’eguaglianza come metodo di redistribuzione occorre passare all’eguaglianza come relazione, che deve diventare la struttura portante di una società d’eguali, articolandola però con il bisogno di singolarità. Infatti non si può più pensare all’uguaglianza come omogeneità e livellamento ma occorre dare a ciascuno i mezzi della propria singolarità, senza discriminazioni.

Ma accanto a questa eguaglianza “di posizione”, va promossa l´eguaglianza “d’interazione”, da cui dipende il sentimento di reciprocità che è fondamentale per la coesione sociale. C’è reciprocità quando ciascuno contribuisce in modo equivalente ad una società dove l’equilibrio dei diritti e dei doveri è lo stesso per tutti. L’assenza di reciprocità produce il sospetto sociale e la mancanza di fiducia nei confronti della collettività.

Più la fiducia viene meno, più i cittadini si allontano gli uni dagli altri.

La reciprocità è alla base delle cosiddette “istituzioni invisibili” che regolano la vita sociale: vale a dire, la fiducia, la legittimità, il rispetto dell’autorità.

Le istituzioni invisibili penano a mantenere il loro statuto e la loro efficacia. Ecco perché è necessario rimettere l’uguaglianza al centro dello spazio sociale, rendendo possibile tra l’altro quell’eguaglianza “di partecipazione” che è al centro della vita politica democratica.

La possibilità per tutti di intervenire nella vita pubblica, anche al di là dell’esercizio del voto.

Un mondo di disuguaglianze, infatti, oltre ad essere un insulto ai poveri, è anche un mondo dominato dall’insicurezza, dalla violenza e da costi sociali sempre più elevati. La società della disuguaglianza non solo è ingiusta, ma è anche una minaccia per tutti.

Ed allora? Che fare?
Vai a votare, puoi anche fare a meno di mettere una croce, ma la scheda mettila almeno nell’urna, così ci bisbiglia nell’orecchio la buona coscienza democratica. Questa voce, demenziale quante poche altre, è in vena di concessioni: in effetti può capitare che in una elezione non ci siano candidati capaci di riscuotere la nostra fiducia e quindi in simili casi è anche giustificato non votare nessuno.

Ma alle urne, bisogna comunque andarci. Perché è un diritto, strappato attraverso enormi sacrifici alla più feroce tirannia. Perché è un dovere, che ogni bravo cittadino è tenuto a rispettare. Con la nostra scheda bianca, con la nostra scheda nulla, dimostreremo che la nostra parte in ogni modo l’avremo fatta e saremo contati fra i votanti.

Ho deciso per la prima e forse ultima volta in vita mia di prestare il mio nome ad una votazione parlamentare, anche se per come la penso, recarsi alle urne è l’ennesima concessione ad un sistema che merita di sparire il più in fretta possibile.
Quanto alla cittadinanza, tutti ormai hanno capito che fa rima con sudditanza.

Lo spettacolo è finito, non l’avete ancora capito?
Non ci sono né mai ci saranno candidati in grado di governare senza sfruttare, ingannare, derubare, opprimere. Presentarmi come riempilista mi da soltanto la possibilità di esprimermi liberamente, anche ritagliando testi sparsi in rete e riorganizzandoli come piace a me, ma non dimenticate che non vi darò mai la soddisfazione di scambiare la vostra eterna infamia per una momentanea debolezza.

Non aspettatevi sconti dal non essere…
… perché ha altro e di meglio da fare.